mercoledì 16 settembre 2009

14. Gli italiani

Nel 1946 tutti i cittadini maggiorenni, donne comprese (che votano per la prima volta), sono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Vincono i repubblicani e il re Umberto II deve prendere la via dell’esilio. Si procede allora all’elezione di un’Assemblea Costituente (2.6.1946), alla quale viene affidato il compito di preparare una nuova Costituzione, che entrerà in vigore il primo gennaio 1948. Essa riconosce la sovranità popolare e i diritti democratici dei cittadini: il diritto al lavoro e alla salute, il diritto di eleggere liberamente i propri rappresentati con suffragio universale, il diritto di uguaglianza di fronte alla legge, i diritti di libertà (di pensiero, di parola, di associazione, di iniziativa e di fede religiosa); riconosce altresì la necessità di rimuovere la povertà e l’ignoranza, allo scopo di rendere effettivi i suddetti diritti.
Intanto, dalle consultazioni elettorali del 1946 emergono le tre principali forze politiche del paese, che sono: la DC, con il 35,2% di preferenze, il PSI col 20,7%, il PCI col 19%. Il democristiano Alcide De Gasperi forma un governo di coalizione, insieme alle sinistre, che però sono viste come fumo negli occhi sia dagli americani, sia dal mondo imprenditoriale italiano, sia dalla chiesa. In questo momento a dettare legge nell’Europa occidentale sono gli Stati Uniti, i quali sono in grado di offrire consistenti aiuti economici ai paesi disposti ad accettare la loro egemonia, ma che ancora non considerano l’Italia un interlocutore importante. De Gasperi invece punta deciso su di loro e fa di tutto per apparire ai loro occhi un alleato affidabile e meritare la loro stima. Alla fine del 1946 gli americani si convincono che è nel loro interesse evitare che l’Italia finisca nelle mani dei comunisti e, negli anni seguenti, fanno in modo che essa benefici del piano Marshall. De Gasperi ricambia estromettendo i comunisti (insieme ai socialisti) dal governo (maggio 1947) e avviando una politica economica di stampo liberista. Si inaugura così quel Centrismo che durerà fino al 1958.
Alla fine della guerra, gli Usa non sono disposti a consentire che in Italia i comunisti vadano al potere. In un documento segreto, datato 5.3.1948 e reso pubblico nel 1994, si dice che, in caso di affermazione del comunismo, gli americani sarebbero ricorsi alla guerriglia e alla falsificazione del voto (CANFORA 2006: 280). Alle elezioni del 18.4.1948 gli italiani “sono chiamati a votare non tanto su programmi politici di segno riformatore o conservatore, ma per il comunismo o l’anticomunismo” (BARBAGALLO 1994: 126). Col 48,5% dei consensi, la Democrazia Cristiana, si afferma come primo partito politico e si appresta a governare il paese, mentre nel Sud essa attira l’attenzione della mafia, che comincia ad infiltrarvisi, specie attraverso la potente organizzazione cattolica dei contadini, la “Coltivatori diretti”. Le forze anticomuniste possono tirare un respiro di sollievo e l’Italia, ormai schierata apertamente con gli americani, può ben considerarsi non più “cobelligerante”, ma “alleata” a tutti gli effetti, anche se di fatto essa interpreta un ruolo subalterno agli Stati Uniti. La fedeltà a tale ruolo, che verrà eretta a strategia negli anni a venire, finirà per “perpetuare una condizione di minorità del paese” (ROMERO 1994: 274). Se per gli Stati Uniti l’Italia è uno dei tanti pianeti che gli girano intorno, essi costituiscono per l’Italia il sole, il punto di riferimento cruciale per tutte le loro più importanti iniziative politiche.
Sempre nel 1948, la crescita del partito comunista che, con circa il 24% dei suffragi, si colloca al secondo posto, genera nel paese una situazione inquietante, dal momento che esso è portatore di una concezione laica e materialistica del mondo, che mal si concilia con la dominante cultura cattolica. La paura del comunismo è tale da indurre Pio XII (1939-58) a superare la tradizionale avversione della chiesa nei confronti del capitalismo e ad avvicinarsi agli Stati Uniti, mentre i parroci predicano ai loro fedeli l’inconciliabilità dei valori del comunismo con quelli del cristianesimo, finché, un bel giorno (29 giugno 1949), i fedeli possono leggere un avviso sacro affisso sui portoni di tutte le chiese della nazione, che recita pressappoco così: “Chi ha votato PCI e non si pente resta in peccato mortale ed è destinato all’inferno”. È la scomunica. Essa verrà confermata l’anno seguente con un decreto del Santo Uffizio.
Per evitare anatemi, ma soprattutto per una temuta revoca della licenza, alcune edicole non vendono più il quotidiano comunista, L’Unità, che è costretto a mobilitare gli iscritti per la vendita abusiva nelle strade: alcuni lo acquistano, ma poi lo nascondono sotto il braccio, rivoltato per non farsi notare; altri lo nascondono perfino in famiglia per non aver liti con le proprie mogli, sorelle, madri e figlie, che sono le più esposte ai sensi di colpa suscitati dalla crociata della chiesa. Nella sua dura lotta contro il comunismo Pio XII non perderà occasione per schierarsi accanto, e benedire, qualsiasi iniziativa in grado di opporsi in qualche modo a quell’odioso movimento: tale sarà il Patto Atlantico, o NATO (1949), tale sarà il riarmo della Germania (1955) e tale sarà l’istituzione Gladio, almeno a partire dal 1956.

14.1. Pio XII
Non condanna l’invasione tedesca della Polonia, né l’aggressione dell’Etiopia da parte di Mussolini, né l’olocausto degli Ebrei. Nemmeno a guerra finita pronuncia parole di biasimo nei confronti di Hitler, Himmler e di altri cattolici gerarchi nazisti. Rifiuta di ricevere il leader democratico italiano Alcide De Gasperi, mentre non esita a scomunicare tutti i comunisti del mondo (1949). “Diritti dell’uomo e democrazia sono realtà rimaste fondamentalmente estranei a questo papa” (KÜNG 1995: 285). Probabilmente, con lui è stato toccato il punto più lontano dal Regno di Dio.

Intanto in Italia, ad onta di quanto sancito dalla Costituzione, continua ad operare la vecchia legislazione fascista, e la democrazia è solo teorica. Nel 1953 De Gasperi tenta di garantire l’egemonia democristiana varando una legge che premia la lista in grado di superare il 50% dei consensi, la cosiddetta “legge truffa”, che però non scatta perché nessuna coalizione riesce a superare quel limite. L’anno seguente il centrismo viene abbandonato e inizia l’apertura a sinistra, proprio mentre un’irresistibile ripresa economica sta modificando la fisionomia del paese. Intanto l’Italia insiste nella sua politica di fedele alleato americano e, nel quadro di una politica di riarmo tesa a contrastare la potenza sovietica, concede agli Stati Uniti di costruire basi militari nella penisola (1954) e di installarvi le prime bombe atomiche, mentre la Cia ha modo di finanziare e organizzare (1951-56) una rete segreta, la Gladio, in funzione anticomunista.

14.2. Il papato da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II
Una ventata di novità investe la chiesa dopo l’elezione al soglio pontificio dell’anziano cardinale Angelo Roncalli, che prende il nome di Giovanni XXIII (1958-63). È persona buona, mite, umile, semplice e alla mano, e, allo stesso tempo, devota, pia e propositiva. Va affermando che “capo della Chiesa è Cristo, non il papa” e che “la Chiesa è di tutti, ma soprattutto dei poveri”. Molti temono che questo papa favorirà l’avanzata del comunismo, ma sperano che non ne avrà il tempo. A Giovanni XXIII vanno ascritti almeno due meriti di grande rilievo. Il primo è la convocazione del Secondo Concilio Vaticano (1959), che introduce importanti aperture della chiesa, specie in direzione dell’ecumenismo e di una maggiore partecipazione dei fedeli in tutta la sfera del sacro. Riconoscendo pari dignità alle diverse concezioni religiose, lo spirito ecumenico assume il significato politico di un anti-nazionalismo o, se preferiamo, di un mondialismo, dove ogni popolo, ogni gruppo, ogni famiglia vengono accreditati di pari dignità.
Il secondo grande merito di Giovanni XXIII consiste nelle aperture alle libertà e al valore della persona, insieme all’auspicio di una pace mondiale fondata sulla giustizia, secondo quanto espresso nell’enciclica Pacem in terris (1963), dove si legge: “La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente” (17). Se la persona è libera, essa non può essere moralmente obbligata da un altro uomo, ma è tenuta a sottomettersi soltanto alla propria coscienza. Siamo al completamento del quadro, perché quello che l’ecumenismo riferisce al contesto sociale, la Pacem in terris riferisce alla singola persona.
Quanta distanza fra questa immagine e quella dell’uomo-gregge tanto cara ai pontefici precedenti! Il Vaticano II non solo conferma il principio, secondo il quale ciascuno “è tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza” (Dignitatis humanae, 11), ma stabilisce anche il seguente principio, che possiamo definire di partecipazione democratica: tutti i cittadini “hanno il diritto e il dovere […] di contribuire secondo le loro capacità al progresso della loro propria comunità” (Gaudium ed Spes, 65). Giovanni XXIII è il papa che ha reso possibile il dialogo fra la chiesa e i partiti di sinistra e che, più d’ogni altro suo predecessore e successore, si è avvicinato al modello di democrazia diretta. È pertanto condivisibile il giudizio positivo espresso da Guido Verucci su questo pontificato, che “è stato certamente uno dei più importanti, se non il più importante dell’epoca contemporanea” (1999: 82). All’interno della chiesa, invece, dalle frange più tradizionaliste, qualcuno esclama: “Ci vorranno cinquant’anni per rimediare ai guasti che ha fatto alla Chiesa nei cinque anni del suo pontificato”.
Purtroppo, la grandezza di un Giovanni XXIII resterà una parentesi felice nella storia della chiesa e non sarà più eguagliata. Il successore, Paolo VI (1963-78), è di tutt’altra pasta. Dotato di una personalità aristocratica e austera, manifesta un elevato concetto del proprio ruolo (usa sempre il plurale maiestatis, insieme alla tiara e alla sedia gestatoria) e “si oppone a qualsiasi iniziativa che possa intaccare la tradizione dogmatica e il primato pontificio” (RENDINA 1996: 664). Paolo VI non riesce a dare seguito al tentativo di svolta operato da papa Roncalli e dal Vaticano II e, ondeggiando fra aperture e chiusure, finisce per irrigidirsi in posizioni antiquate, che non soddisfano nessuno e sono alla base di una crisi profonda, che serpeggia all’interno della chiesa e che induce molti sacerdoti ad abbandonare la veste.
Nel corso della sua vita tormentata, Paolo VI ripropone la tesi secondo la quale il papa deve giustificarsi soltanto dinanzi a Dio, prospettando un assolutismo di potere, che ormai è anacronistico e viene contestato dalla commissione teologica che, per fortuna, riesce a convincere il pontefice a ritirare la sua affermazione. Il risultato è che il papa non deve sottostare solo a Dio, ma anche alla rivelazione, alle definizioni dei concili e ad altre cose ancora. Incapace anche di concepire la libertà di coscienza personale, Paolo VI finisce col condannare ogni pratica finalizzata al controllo delle nascite (Humanae vitae, 1968), quando ormai queste pratiche sono largamente diffuse e accettate anche dalla coscienza di molti cristiani. Sul versante sociale, Paolo VI aggiunge a quella del comunismo anche la condanna del capitalismo, il cui fine essenziale è il profitto e l’accumulazione illimitata di beni (Populorum progressio, 1967).
A Paolo VI succede Albino Luciani, che prende il nome di Giovanni Paolo I (1978). Proviene da un’umile famiglia (il padre è un operaio con idee socialiste) ed è una persona semplice ed estranea ai giochi di potere, tanto a livello politico che in campo economico. I suoi principali interessi sono di tipo religioso, ed egli li cura da autentico cristiano. Qualcuno pensa che possa rivelare qualche sorpresa, in termini di apertura alle istanze del proletariato e al comunismo. Ma non c’è tempo per verificare: Albino Lucani muore, misteriosamente, dopo appena 33 giorni di pontificato.
Il papa che viene eletto nel 1978, Karol Wojtyla, è un polacco, è giovane, è dotato di forte personalità e di intensa comunicativa, su di lui si appuntano tante speranze. Prende il nome di Giovanni Paolo II (1978-2005). Durante la campagna per il referendum sull’aborto (1981), rivela chiare doti di combattività e tenacia. Viene accusato d’interferenze in violazione del Concordato e appare subito chiaro che il suo sarà “un papato fortemente politico” (RENDINA 1996: 675). Nonostante i numerosi viaggi e gli incontri con esponenti di altre religioni, e benché lo stesso papa si esprima a favore di un dialogo fra le grandi religioni monoteiste (Tertio millennio adveniente, 1994), lo spirito ecumenico non fa sostanziali passi avanti e rimane invincibile la concezione “nazionalistica” della superiorità del cattolicesimo nei confronti di tutte le altre confessioni. Sul versante politico generale, il pontefice polacco conserva l’avversione per il comunismo dei suoi predecessori e mantiene le distanze dal capitalismo, senza fornire un modello di governo alternativo concreto (Laborem exercens, 1981; Centesimus annus, 1991).

Dopo la caduta del fascismo, dunque, l’Italia è governata da una pluralità di partiti politici, liberamente eletti dai cittadini con suffragio universale e aventi la funzione di rappresentare la volontà e gli interessi generali degli elettori. Nell’accettare il piano Marshall e nell’accettare, quindi, di entrare nella sfera d’influenza degli Stati Uniti, i governi italiani operano una precisa scelta che li pone in netta antitesi col modello sovietico e che li autorizza a descrivere il PCI come uno spauracchio o come il nemico numero uno, da abbattere a tutti i costi o, quanto meno, da tenere assolutamente lontano dal potere esecutivo. Così, contro il pericolo comunista, il governo italiano permette l’istituzione “Gladio”, un’organizzazione clandestina paramilitare, operante nell’ambito dei servizi segreti italiani e della CIA (1956), allo scopo dichiarato di preparare una resistenza in caso di invasione del territorio nazionale da parte di forze comuniste, aderenti al Patto di Varsavia. Nello stesso anno si apre la stagione del cosiddetto terrorismo nero (1956-74), orchestrato dalla Cia allo scopo di insediare in Italia una dittatura militare in funzione anticomunista, che culmina in un tentativo di colpo di Stato perpetrato da Junio Valerio Borghese (1970) e in un tentativo di «golpe bianco» ad opera di Edgardo Sogno (1974), entrambi falliti.
Intanto, nel corso degli anni Sessanta, l’Italia ha ormai abbracciato lo spirito capitalistico ed è in piena espansione economica. I principali gruppi industriali e finanziari sono saldamente controllati da poche famiglie (Agnelli, Falck, Pesenti, Bassetti, Marzotto, Zanussi, Rizzoli, Mondadori, Moratti, Bertolli, Motta, e altre), mentre nuove famiglie si affacciano nel mondo dell’imprenditoria italiana: sono i Tanzi, i Riva, i Lucchini, i Ferrero, i Merloni, i Del Vecchio, i Ligresti, i Danieli, i Ferruzzi, i Marcegaglia, e via dicendo. Alcuni di essi, come i Berlusconi e i Benetton, creeranno degli autentici imperi industriali e finanziari partendo praticamente dal nulla. Si trasformano anche i costumi: le abitazioni tendono ad essere sempre più spaziose e confortevoli, e cominciano a diffondersi gli impianti di riscaldamento, i servizi igienici, radio, telefono, televisore, autorimesse. Ciò contribuisce a diffondere una sensazione di progresso e di benessere e a creare le condizioni favorevoli ad un cambiamento anche sul piano culturale e sociale, che si traduce, nel decennio successivo, in una serie di novità: l’introduzione del diritto di divorzio (1970), la liceità di propagandare e vendere anticoncezionali (sentenza della Corte Costituzionale del 1971), scompare la figura del capofamiglia e l’istituto della patria potestà, mentre i coniugi assumono parità di diritti e doveri nei confronti della prole (1975), l’aborto non è più reato (1978), si tutela il diritto alla procreazione cosciente e responsabile (1978).
Nello stesso periodo in cui si afferma il capitalismo, l’Italia è amministrata da governi di centro-sinistra, cui partecipano i socialisti, e non mancano coloro che sono favorevoli ad un’intesa anche coi comunisti (“compromesso storico”). L’elezione di uno di questi, Aldo Moro, alla segreteria democristiana (1969) rappresenta un elemento di turbamento e preoccupazione per le forze di destra, che si sentono minacciate nei loro interessi da un pericolo comunista, che è particolarmente temuto dagli Stati Uniti. Intanto l’Italia è colpita da quella che verrà ricordata come “strategia della tensione” (attentati, stragi, un tentativo di colpo di Stato), che potremmo anche chiamare terrorismo e che è verosimilmente orientata a suscitare nella popolazione il desiderio di abbandonare la politica orientata a sinistra e di affidarsi ad un governo forte, in grado di ristabilire l’ordine e la sicurezza sociale. La minaccia comunista raggiunge il massimo grado quando, nelle elezioni del 1976, il PCI ottiene il 34,4% delle preferenze e si comincia a temere un suo possibile sorpasso della democrazia cristiana. In più, sotto il tormentato pontificato di Paolo VI, molti cattolici, sacerdoti compresi, abbracciano le teorie marxiste. L’assassinio di Moro, insieme all’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II (1978), un papa decisamente anticomunista, consentono di scongiurare il pericolo funesto.
Nel 1983 il PCI ottiene il 29,9% e si avvia verso un lento declino. Anche la DC registra un calo di consensi, mentre mostra una tendenza alla crescita il PSI, in seno al quale emerge la figura di Bettino Craxi. Intanto, nel corso degli anni Ottanta, quella che è sempre esistita, come fatto di costume, vale a dire la corruzione politica, si sviluppa come un vero e proprio sistema, che tutto pervade e di cui nessuno può fare a meno. In cambio dei favori che ricevono, gli imprenditori finanziano i partiti al governo, mentre i politici ricambiano con una legislazione compiacente. Questo sistema di corruzione, che finisce per coinvolgere praticamente “tutti i più grandi gruppi industriali, pubblici e privati” (BRUNO, SEGRETO 1996: 666), si rivela duraturo, anche perché può contare sulla complicità del partito comunista, che anch’esso riceve sovvenzioni da parte dell’URSS. Dopo la crisi del comunismo sovietico (1989), la politica italiana si sposta a Destra e in direzione liberista e si caratterizza per un alleggerimento del carico tributario sulle fasce più facoltose e per una tolleranza nei confronti dell’evasione fiscale, in modo siffatto che i ricchi diventano sempre più ricchi, mentre la povertà aumenta (PACI 1996: 761). In queste condizioni, si ampliano gli spazi per i traffici illeciti e la corruzione.

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